Le religioni si chiedono chi abbia creato l’Universo. 

La scienza si interroga su come sia nato e, in subordine, se nell’Universo ci siano altre forme di vita. 

L’Astronomia genetica si domanda se l’Universo sia in sé vita, se cioè è possibile pensare a questo Universo (senza peraltro escludere altri Big Bang e altri Universi) come a un organismo vivo e vitale, di cui la Terra e il Sistema solare non sono che una parte infinitesimale, atomica, della struttura (del tessuto) che lo compone.

Se si accoglie l’ipotesi secondo la quale la nascita dell’Universo non è stato un accadimento accidentale ma, come per le nascite che conosciamo, il frutto di circostanze non casuali ma causali legate all’espressione di una Intenzione in grado di determinarne l’accadimento e di orientarne gli sviluppi nel tempo, la naturale conseguenza è solo una: l’Universo non è solo una creazione: è esso stesso una creatura, un organismo vitale di dimensioni incalcolabili: qualcosa di singolarmente (nel senso di unitario) e ‘specialmente’ fecondato e vivente. E se così stanno le cose, la Terra – che da quell’evento iniziale è derivata – altro non è che una minuscola parte di quell’organismo misterioso che, a quanto pare, è tuttora in espansione (e quindi in crescita). 

Forse è venuto il momento di farsene una ragione.

 

 

PREFAZIONE

 

 

Quella di Giuseppe, che come ci venne insegnato a catechismo è da considerare il “padre putativo” di Gesù di Nazareth, e cioè del figlio di Dio fatto uomo e nato da una vergine di nome Maria, è una delle figure più misteriose – e inquietanti – nella storia del Cristianesimo. E anche per questo una delle più intriganti.

Già il termine “putativo” semina profondi elementi di ambiguità.

Secondo il vocabolario Treccani, il latino da cui deriva (putativus) è riportato ai significati di “presunto”, “apparente”. E putativus discende a propria volta da putare, e cioè “credere”. “Presunto padre”, “Padre apparente”, “Creduto padre”: tutti significati che non sono tra loro sinonimi. Anzi. Giuseppe “presunto” padre di Gesù è assai diverso da Giuseppe “apparente”, o “apparentemente”, padre di Gesù; che è cosa diversa da Giuseppe “creduto” padre di Gesù. Comunemente, tuttavia, l'espressione è intesa come Giuseppe sposo di Maria e “padre adottivo” di Gesù, bambino nato da altro padre (o da altro Padre).

Giuseppe, nella tradizione diventata col tempo storia, è presentato con toni dimessi: silenzioso, modesto, forse anziano. Falegname, forse carpentiere, ma vedremo come anche questa attribuzione professionale sia sommamente ambigua.

 

Nei Vangeli canonici Marco, semplicemente, lo ignora.

Luca lo cita in alcune rare e brevi occasioni: quando l'angelo Gabriele viene mandato “a una vergine sposata a un uomo di nome Giuseppe, della casa di Davide”(1); quando “anche Giuseppe, movendo per il censimento dalla città di Nazaret in Galilea, salì nella Giudea, alla città di Davide che si chiama Betlemme, dove egli, della casa e nazione di Davide, doveva essere iscritto, insieme con Maria, la moglie sua, ch'era incinta”(2); quando i pastori “trovarono Maria e Giuseppe e il bimbo deposto nella mangiatoia”(3); e quando la gente, nello stupire alla saggezza e scienza di Gesù durante la sua predicazione, si chiedeva “Non è costui il figlio di Giuseppe?”(4).

Giovanni cita Giuseppe una sola volta, per inciso, quando ricorda le parole di Filippo a Natanaele: ”Colui di cui scrissero Mosè nella Legge e i profeti lo abbiamo trovato, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth”(5). Punto.

Rimane Matteo, il quale apre il suo Vangelo con una lunga genealogia che ha uno scopo a suo modo sorprendente: non è tracciata per indicare l'ascendenza di Maria, cosa che avrebbe senso e darebbe un'immagine completa della figura di Gesù (essendo lo Spirito Santo il padre/Padre del bambino). Diversamente, questa genealogia è destinata alla ascendenza di Giuseppe. Vengono citate “quattordici generazioni da Abramo a David, quattordici generazioni da David alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni dalla deportazione in Babilonia a Cristo”(6). (In realtà le generazioni elencate nell'ultima parte sono tredici).

L'aspetto interessante, tuttavia, sono proprio le ultime due righe delle venti di questa elencazione, ed esattamente il versetto 16.  Il lungo elenco, passando da Isacco, Salomone e decine di   altri

 

nomi storici, è ormai arrivato a Giacobbe. E “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale nacque Gesù, detto il Cristo”(7).

Ma se Giuseppe non era il padre di Gesù, e certamente non lo era per chi scrisse i Vangeli (e per quanto possa valere neppure secondo noi), perchè la redazione di questa genealogia che introduce una quarantunesima generazione estranea a tutte le precedenti? Non è singolare che questo Giuseppe, certamente nobilitato da tale ascendenza ma destinato ben presto a sparire anche dalle pagine di Giovanni, diventi in certo modo “putativo” non solo nel dare accoglienza e una paternità legale al figlio di Dio, ma anche nel fornirgli una genealogia priva di ogni rapporto con la reale condizione del figlio adottato?

E' interessante notare (e volutamente non ne abbiamo parlato prima) che anche Luca propone una genealogia di Giuseppe, e la cita in riferimento ai trent'anni di Gesù e al suo battesimo da Giovanni (8). Anche in questo caso, se pure l'implicito riferimento è chiarire la figura di Gesù, la genealogia è invece, come per Matteo, quella di Giuseppe e, rispetto a quella di Matteo, è ancora più ambiziosa e si spinge oltre la figura di Abramo, su su fino a Enos, Set, Adamo e infine, naturalmente a Dio (9).

Altro non c'è, altro non si sa, altro non si dice e non si scrive del Giuseppe ufficiale. E i misteri, come è noto, sono molto stimolanti.

 

Giuseppe fu un uomo che a suo modo doveva avere un forte carattere ed essere coraggioso. Uomo anche di nobile animo se, allertato in sogno da un angelo sul fatto che la sua promessa sposa (o forse, come si è visto, già sposa) era incinta, accettò silenziosamente questa singolare “benedizione” giunta dal cielo

 

e il conseguente ruolo di sostituto padre, e si accollò le voci, i pettegolezzi, i sussurri che una società tradizionale, religiosissima e ortodossissima come quella ebraica del suo tempo inevitabilmente avrebbe prodotto.

Giuseppe è un uomo che decise di accogliere l'arrivo di questa creatura ben sapendo che altrimenti, se egli avesse come suo diritto ripudiato la madre, quel bimbo (o quella bimba) avrebbe avuto il destino di un qualsiasi – il termine è orribile ma ha attraversato i secoli giungendo fino a noi – bastardo.

Quanto poi al destino che quel mondo avrebbe riservato alla giovanissima madre una volta ripudiata non era difficile da immaginare.

Perchè Dio abbia avuto la necessità di mandare Suo figlio sulla terra affidandosi a una procedura così ipocritamente corretta è difficile dire. Ma i tempi erano quelli, quelli i valori e quelle le tradizioni. In fondo nei secoli e millenni successivi quei “valori” non sono neppure troppo cambiati. Una madre doveva pur avere un marito in carne e ossa. E un figlio di Dio non poteva certo essere figlio di nessuno. Lo potrebbe essere oggi? Ecco una domanda cui non è facile rispondere ma alla quale la Chiesa ha risposto per secoli con precisi comportamenti nei confronti delle madri nubili e dei figli illegittimi.

Certo non si può non essere incuriositi dall'intera vicenda, considerato che il vero Padre di Gesù, da lì a trentatre anni, avrebbe “abbandonato” il figlio sulla croce (Heloì Heloì lamà sabachtani? “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai   abbandonato?”)

(10) mentre il padre “putativo”, che era poi quello che l'aveva cresciuto, era stato già da tempo, diremmo quasi da subito, fatto scomparire dalla scena, o almeno dalla scena rappresentata negli scritti ufficiali – i Vangeli canonici in primo luogo – che avrebbero   celebrato   nei   secoli   la   storia   e   il   trionfo  del

 

Cristianesimo, stabilendone le “verità”, le regole, i riti e anche – soprattutto – ruoli e protagonisti.

Giuseppe, nella sua versione ufficiale, è invece una impalpabile comparsa subito scomparsa.

Non Maria, che al contrario è fin dal principio comprimaria ubbidiente e mesta, sottomessa e muta. E ha quel ruolo speciale ma ben preciso di “donna e madre” che, affibbiatole nei Vangeli (e in tutto ciò che sarà Chiesa, dottrina e dogmi), sarà confermato in modo assai meno “speciale” e assai più “doveroso” a fardello di tutte le donne, nei secoli dei secoli.

 

Ma le cose andarono davvero così? Giuseppe è davvero da considerarsi una figura non di secondo, né di terzo, ma di ultimo piano? Davvero fu talmente insignificante da non meritare alcun interesse da parte di chi volle scrivere e tramandare la storia della sua famiglia e, soprattutto, del figlio che aveva accolto nella sua casa?

Ci sarebbe molto da dire, e tanto vale provare finalmente a dirlo.

 

Se Gesù, per citare ancora la dottrina, fu “vero Dio e vero uomo”, Giuseppe nel suo rapporto con la sposa Maria sembra non esser mai stato – sempre secondo la dottrina che ha scelto di ignorarlo – né vero uomo, né mai vero padre. E qui ci si intende riferire non solo e non tanto all'aspetto della procreazione o dell'intimità coniugale tra lui e Maria, ma più compiutamente al concreto svolgimento di un suo ruolo genitoriale e paterno.

Questa distrazione (nel significato della Treccani di stato del pensiero rivolto altrove, e perciò assente dalla realtà attuale e circostante) è forse accaduta per evitare che il padre in terra potesse oscurare, o anche solo offuscare, l'immagine del   Padre

 

in cielo? Due figure maschili nella storia di Gesù (perchè il Dio tanto ebraico quanto cattolico è sicuramente maschio) sarebbero state certo ingombranti. Ma chi poteva temere una figura come quella di Giuseppe? Dio o qualcun altro? Dio o chi si era dato il compito di costruire una solida dottrina per la nuova fede, basandola su caratteristiche precise circa i rapporti tra Padre e Figlio, tra trascendenza e umanità, tra consapevolezza di questa vita e potere su una vita “altra”, oltre la morte, e così via? Quanto avrebbe stonato l'ingombrante presenza di un uomo innamorato di Maria e suo compiuto sposo? E quanto sarebbe stato impossibile e scandaloso accettare fratelli e sorelle concepiti e nati dal grembo non più vergine della madre del figlio di Dio? Quanti inaccettabili dubbi sarebbero nati attorno alla stessa natura divina di Gesù? E ancor più dubbi, e più profondi, sarebbero scaturiti consentendo alla figura del figlio di Dio di amare a propria volta una donna, e di avere insieme a lei dei figli. Non è forse così?

Infine: quanto sarebbero mutati il ruolo e il “potere” femminile in quella società fortemente misogina, con la presenza di donne libere di amare o in grado di fare innamorare di sé il figlio di Dio?

Gesù era amore, certo. Ma doveva essere e rimanere la fonte attrice, per così dire, dell'amore. Quale capovolgimento sarebbe stato porre come origine del suo amore qualcosa altro da lui, e addirittura una donna?

E' dalla risposta a tutti questi interrogativi, dagli effetti provocati da questo quadro di paure e di convenienze, che pare derivare l'insieme dei rapporti, dei pesi e delle misure che hanno regolato fin dall'inizio lo sfuocato quadro d'insieme, lo strabismo degli intrecci reciproci, le inspiegabili assenze e le rimozioni evidenti tra le figure di Giuseppe, Gesù e Maria.

 

Come non bastasse, ad accompagnare questo risultato che ha fatto tradizione e dottrina, ecco in agguato il paradosso.

Attorno a questa figura inesistente, insignificante (nel senso di privata di significato), rimossa di Giuseppe, attorno a quest'uomo di cui non si conosce neppure una parola o un gesto rivolto in trentatre anni al figlio adottivo (e viceversa), la tradizione, l'iconografia, l'arte e soprattutto la dottrina hanno infatti costruito niente di meno che l'immagine della Sacra Famiglia.

C'è nulla di più surreale? Un'adolescente incinta per mano, si fa per dire, dello Spirito Santo (che è cosa seria); un finto padre che si adatta a quanto accade per spirito di ubbidienza a un sogno; un figlio che di amore parla con tutti, ma mai di amor filiale (se non nell'obbligo dell'”onore” verso i genitori quando rimanda agli obblighi - anzi ai “comandamenti” - di fronte a Dio); un'unione con Maria che – sempre per attenersi strettamente alla dottrina ufficiale – non è mai stata consumata (brutta parola da Sacra Rota per dire vissuta, compiuta, colmata d'amore e di intimità). Ma che razza di famiglia è questa? Esemplare nell'ubbidienza e nella sottomissione, forse. Ma è questa la famiglia a cui ispirarsi? Cosa ha di sacro? E cosa ha di autenticamente umano (che poi sono termini coincidenti)?

I tempi, gli studi, gli approfondimenti di molti decenni hanno aperto molte crepe nell'ingessatura che ha consentito il perpetuarsi di un'interpretazione univoca, contradditoria e inumana del cristianesimo. E' noto il dibattito che esiste sull'interpretazione di frasi che, negli stessi Vangeli, richiamano all'esistenza di fratelli e sorelle di Gesù. Ci piace quindi ricordare qui, breve accenno a questo riguardo, una sola frase di Matteo.

 

Prima che Giuseppe e Maria iniziassero a convivere, dice Matteo, la promessa sposa concepisce un figlio per virtù dello Spirito Santo. Giuseppe non sa ancora chi è stato a provocare questa situazione. Sa solo che quella ragazzina di cui, diciamo noi, è innamorato, è anche incinta. Pensa di ripudiarla in segreto, per evitare scandalo. Ma non è sicuro. Una volta che la gravidanza fosse palese, sa benissimo quale sarebbe il destino di Maria nubile. Finchè un angelo, in sogno, gli spiega che il padre di quel bambino sta molto in alto, ed è il caso di accogliere la creatura. Ora la parola a Matteo: “Giuseppe, svegliatosi, fece come gli aveva comandato (sic!) l'angelo del Signore: accolse in casa la sposa, ma non la conobbe finchè partorì un figlio, al quale pose nome Gesù (il corsivo è mio)”(11). C'è qualcosa da aggiungere?

 

Per questo, e per altro ancora, Giuseppe è una figura che assorda, si impone e diviene grande per il silenzio che la circonda. Una figura silenziata, forse, perchè altri (ed a lui estranei) erano i giochi di potere che da subito tradussero la figura di Gesù nell'icona del Cristo, e mutarono il valore di quello che il teologo e filosofo Vito Mancuso chiama gesuanesimo nella falsa moneta del cristianesimo.(12)

 

Ma, a introduzione di questo libro, ci sono ancora due cose che vale la pena di dire.

La prima riguarda un altro Giuseppe, che al Giuseppe “padre putativo” è strettamente legato.

Anche questo secondo Giuseppe è seminascosto come il suo omonimo tra le pagine dei Vangeli, e suscita inevitabilmente curiosità e interesse. Anch'egli (deve essere un destino per molti di coloro  che portavano  quel nome)  personaggio di  contorno,

 

una sorta di incidente narrativo nonostante si possa intravvedere nella sua figura una qualche forma precisa di nobiltà, notorietà e anche potere.

Parliamo di Giuseppe d'Arimatea. Compare all'improvviso, nel momento più tragico per la vicenda di Gesù, ormai crocifisso, e dei suoi genitori, che ne partecipano dell'agonia (in verità i Vangeli accennano alla sola presenza di Maria e altre donne sul Golgota, ma come vedremo c'erano anche entrambe i Giuseppe).

Davvero quest'altro Giuseppe, che pare uno sconosciuto di passaggio e che si introduce quasi per caso nella vicenda che segnerà la storia di tanta umanità nei secoli a venire, può recarsi al palazzo pretorio simbolo del potere di Roma, dal prefetto Ponzio Pilato, essere subito ricevuto al termine di una giornata che per Pilato doveva essere stata molto faticosa, reclamare la consegna del corpo di Gesù dalla croce e ottenere immediatamente ciò che chiede, in deroga a tutte le rigidissime norme vigenti a quel tempo sull'impossibilità di rendere il cadavere dei condannati crocifissi prima della loro completa decomposizione?

Chi era questo Giuseppe? Perchè scompare dalla scena con la stessa velocità con cui appare? Perchè è suo il sepolcro, nuovo nuovo, appena scavato nella roccia, imbiancato a calce e a pochi passi dal luogo dell'esecuzione, il luogo dove il corpo di Gesù viene portato e deposto nel pomeriggio del giorno di Parasceve, vigilia della Pasqua, a meno di tre ore dalla sua crocifissione?

E soprattutto: quale storia, quali segreti, quali intese legano tra loro Giuseppe padre “putativo” e Giuseppe d'Arimatea nelle vicende di Gesù, fin da prima della sua nascita? E quali furono i legami tra Giuseppe d'Arimatea e lo stesso Gesù?

 

Il secondo punto che trovo sostanziale nelle pagine di questo libro è quello che io considero di maggiore rilevanza. Direi sopra a tutto. E riguarda le donne, che occupano forse la parte più profonda, intensa e sorprendente di questo Vangelo, quella che richiede maggiore attenzione e riserva le maggiori sorprese. Ultimo punto di queste mie righe, quindi, non per importanza, ma perchè da ultimo si tirano le somme di ciò che è stato, si cercano i punti di partenza della nuova verità.

Il ruolo del femminino nelle molte declinazioni che Gesù incontrò nella sua vita contribuì indubitabilmente a formare i suoi valori e le sue scelte. A partire dalla sua lunga istruzione in Egitto, in uno dei maggiori collegi del tempo dedicato proprio a una dea, Neith, generatrice del mondo e della vita. E' questo, probabilmente, il filo sottile e in certo senso magico che percorre l'intera narrazione di Giuseppe.

 

Quella che segue è la storia di ciò che accadde duemila anni fa in terra di Palestina (e d'Egitto) e che ha segnato i giorni di gran parte delle donne e degli uomini vissuti fino ad oggi in Occidente e non solo. E' la storia narrata da un protagonista che si è voluto, fin dal principio, rimuovere e dimenticare.

E' un racconto che nella sua semplicità, anche se Giuseppe era certamente un uomo colto, rimette al proprio posto ogni cosa, in ogni suo dettaglio. Sono pagine che fanno tornare molti dei conti finora rimasti sospesi e vincolati agli obblighi di una fede perimetrata “a prescindere”.

Un Vangelo apocrifo? Una creazione della fantasia? Una rivelazione attesa da troppo tempo? Una visione sorprendente di quello che realmente fu? Una provocazione dissacrante?

 

Ogni lettore si dia la risposta che ritiene migliore e sente più vera. Del resto, fino ad ora, la grande assente è stata proprio la verità.

Le fonti da cui nasce questo Vangelo, per quanto lo scritto sia relativamente breve, sono numerose e, a giudizio di chi le ha raccolte, accolte, vagliate e infine riordinate, e cioè a mio giudizio, sono, se così si può dire, ineffabili.

Mia, naturalmente, è la piena responsabilità del risultato.

 

Possa la lettura di queste parole favorire il risveglio e la crescita di ognuno, alla luce della verità.

 

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