Le religioni si chiedono chi abbia creato l’Universo. 

La scienza si interroga su come sia nato e, in subordine, se nell’Universo ci siano altre forme di vita. 

L’Astronomia genetica si domanda se l’Universo sia in sé vita, se cioè è possibile pensare a questo Universo (senza peraltro escludere altri Big Bang e altri Universi) come a un organismo vivo e vitale, di cui la Terra e il Sistema solare non sono che una parte infinitesimale, atomica, della struttura (del tessuto) che lo compone.

Se si accoglie l’ipotesi secondo la quale la nascita dell’Universo non è stato un accadimento accidentale ma, come per le nascite che conosciamo, il frutto di circostanze non casuali ma causali legate all’espressione di una Intenzione in grado di determinarne l’accadimento e di orientarne gli sviluppi nel tempo, la naturale conseguenza è solo una: l’Universo non è solo una creazione: è esso stesso una creatura, un organismo vitale di dimensioni incalcolabili: qualcosa di singolarmente (nel senso di unitario) e ‘specialmente’ fecondato e vivente. E se così stanno le cose, la Terra – che da quell’evento iniziale è derivata – altro non è che una minuscola parte di quell’organismo misterioso che, a quanto pare, è tuttora in espansione (e quindi in crescita). 

Forse è venuto il momento di farsene una ragione.

I QUADERNI NERI

 

Dal Volume I

Il racconto di un individuo alienato risulta sempre perfettamente scorretto, nella sua incomprensibile follia, per qualsiasi individuo normale che lo ascolti.

Il racconto di un individuo normale risulta sempre perfettamente corretto, nella sua incomprensibile lucidità, per qualsiasi individuo alienato che lo ascolti.

E' quindi difficile stabilire, da un punto di vista neutrale, chi abbia tra loro maggiore capacità di comprensione.

Dal Volume II

Osservo la mia mente affaciata su questo universo capovolto, che invece di innalzarsi verso lo spazio si agita in una tazza concava e miserevole, e ne attinge il proprio cibo quotidiano. Eppure...Eppure la vita è questa. Perchè ne ho fatto la mia vita? Forse che ci sia, nell'applicarmi e nello studiare questi "casi", qualche soddisfazione diversa dalla sordida morbosità di un dissezionatore di cadaveri? Forse che ci sia la speranza di trasmettere a qualcuno, almeno a qualcuno, la consapevolezza che esiste altrove da loro, altrove da dove si trovano ora, un'altra vita? Quello che ho ben chiaro è che io stesso, nel considerare la loro, ne traggo un evidente, e forse illecito beneficio. Potrei definirlo un beneficio del cuore, perchè le loro storie illuminano il quadro della vulnerabilità umana, della sua infinita debolezza e, infine, della sua profonda, intaccabile innocenza. C'è dolore, in questo mondo che indebitamente visito. C'è naturalmente anche follia. Ma non trovo colpa alcuna. Mai.

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